Il Punto economico finanziario

Report di Tosetti sul quadro economico di Aprile. Scopriamo insieme nuove opportunità di investimento 2019

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apprezzato contro il dollaro e contro lo Yen. In aumento il prezzo dell’oro e quello del petrolio (a quota 57.40 dollari al barile

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Documento chiuso l’11 aprile Alle ore 14.30

IL PUNTO ECONOMICO FINANZIARIO

• Punto macroeconomico 3 • Glossario 14

il 30 novembre).

PUNTO MACROECONOMICO

I mercati – Ultimi 3 mesi – Local Currency

Moderatamente positivi a marzo i principali mercati azionari europei, asiatici e nordamericani. L’Euro si è indebolito contro il dollaro e contro lo Yen. In calo il prezzo dell’oro; in crescita quello del petrolio a quota 60.14$/ barile a fine marzo.

I tassi

In calo a marzo i tassi IRS a cinque e dieci anni che chiudono il mese a 0.014% e 0.472%. In flessione anche l’IRS a due anni, a -0.190%; quasi inalterato l’Euribor a tre mesi, a -0.311% al termine del terzo mese dell’anno in corso.

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Il Dipartimento del Commercio ha reso pubblica la lettura definitiva circa l’andamento dell’attività economica tra ottobre e dicembre 2018, periodo durante il quale il PIL statunitense si è incrementato del 2.2% trimestrale annualizzato, valore inferiore al +3.4% della scorsa estate e al 2.6% inizialmente stimato.

importazioni (-2.6%) legata al livello attualmente molto elevato delle scorte del sistema produttivo nordamericano. Le prospettive commerciali di medio lungo termine saranno influenzate in misura rilevante dall’esito delle trattative in atto tra Washington e Pechino volte a scongiurare un’escalation della reciproca imposizione di dazi doganali avvenuta nel 2018. I negoziati procedono, e ambo le parti hanno recentemente espresso un crescente ottimismo circa un imminente accordo, anche se al momento non è ancora stata fissata la data dell’incontro tra Donald Trump e l’omologo cinese Xi Jinping che dovrebbe ratificare l’intesa.

Variazione trimestrale annualizzata del PIL USA, 2010 – 2018. Fonte: Commerce Department.

L’espansione è stata sostenuta dai consumi privati – aumentati tuttavia del 2.5% annualizzato solamente, minimo da tre trimestri – dagli investimenti produttivi – progrediti del 5.4%, in accelerazione rispetto al periodo giugno/ settembre – e dal secondo, sebbene modesto, incremento delle scorte. La performance ha viceversa risentito della spesa pubblica – diminuita dello 0.4% – degli investimenti residenziali – calati del 4.7%, dato peggiore dalla primavera 2017 – e del commercio estero in ragione di un aumento delle esportazioni (+1.8%) lievemente inferiore a quello delle importazioni (+2%). Il contributo da parte degli scambi con l’estero è, tuttavia, verosimilmente tornato a essere positivo a inizio 2019. A gennaio, infatti, il deficit della bilancia commerciale si è ridotto sensibilmente a 51.1 miliardi di dollari rispetto ai 59.9 miliardi – massimo da dieci anni a questa parte – fatti segnare a dicembre grazie alla tenuta delle esportazioni (+0.9% congiunturale) e alla flessione delle

Saldo mensile della bilancia commerciale USA in miliardi di dollari, 2011 – gennaio 2019.

Fonte: Commerce Department.

Nel World Economic Outlook di aprile il Fondo Monetario Internazionale prevede che la maggiore economia mondiale – cresciuta del 2.9%, ritmo più elevato dal 2015, nell’intero anno scorso – si espanda del 2.3% nel 2019, valore abbondantemente al di sopra di quelli preconizzati per gli altri Paesi avanzati ma inferiore al +2.5% stimato a gennaio dalla medesima Istituzione. I più recenti dati inerenti a domanda e offerta confermano come l’espansione più duratura della storia degli USA prosegua, ma ne evidenziano al contempo un raffreddamento rispetto a quanto accaduto nel recente passato. Le vendite al dettaglio sono inaspettatamente, seppure leggermente, diminuite dello 0.2% mensile a febbraio dopo il solido +0.7% registratosi a gennaio, e la variazione annua delle stesse è oggi pari a +2.2%, valore nettamente inferiore alla media (4.8%) del biennio 2017 – 2018. L’indice della Conference Board che cattura la fiducia dei consumatori, inoltre, pur rimanendo in territorio abbondantemente positivo, è sceso per la

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quarta volta negli ultimi cinque mesi a marzo, attestandosi a 124.1 dal precedente 131.4. La produzione industriale, invece, è tornata a incrementarsi a febbraio dello 0.1% congiunturale dopo due cali filati, aumentando del 3.6% tendenziale, numero in leggero ridimensionamento rispetto alla seconda metà del 2018 ma ancora largamente al di sopra del valore medio 2011 – 2019 di poco eccedente il 2%. L’indice ISM Manifatturiero, in tal senso, è tornato a salire a marzo raggiungendo quota 55.3 dal 54.2 di febbraio – minimo da due anni – ma gli ordini di beni durevoli al netto della volatile categoria dei mezzi di trasporto sono rimasti sostanzialmente stabili (+0.1% mensile) a febbraio non confermando il progresso del mese precedente.

500 – che riporteranno le trimestrali nelle prossime settimane – siano aumentati del 4.7% annuo, stimano che nel medesimo periodo i guadagni si siano ridotti del 4.2% tendenziale, dato peggiore dalla primavera del 2016. L’ambito le cui condizioni sono di gran lunga più robuste è certamente il mercato dell’impiego. A marzo sono infatti stati aggiunti ben 196.000 posti di lavoro – oltre le attese e in netto recupero dopo le 33.000 di febbraio – e la disoccupazione è rimasta inalterata al 3.8% della forza lavoro, valore prossimo al minimo dagli anni ’70 raggiunto a fine 2018.

ISM Manifatturiero (nero, scala destra) e Fiducia dei Consumatori (azzurro, scala sinistra), 2000 – marzo 2018. Fonte: Thomson Reuters Datastream.

Segnali confortanti provengono dal comparto real estate: a febbraio è infatti tornato a crescere il numero di compravendite di immobili sia sul mercato primario (+4.9% mensile) sia in particolare sul secondario (+11.8%, massimo da fine 2015). Il settore edile beneficia del recente abbassamento dei tassi richiesti sui mutui fondiari derivante dalla politica monetaria meno restrittiva della Fed e del raffreddamento della crescita dei prezzi delle case, pari al 3.58% annuo appena, minimo da ottobre 2012, a gennaio. Per quanto i conti delle imprese continuino ad apparire complessivamente solidi e ricchi di liquidità, il rallentamento dell’attività economica su scala locale e soprattutto globale, sommandosi al venir meno dell’effetto della riforma fiscale introdotta a inizio 2018 e alla compressione dei margini operativi, si ripercuote sulle attese riguardo agli utili. Gli analisti di Factset, infatti, pur convinti che nel primo trimestre i ricavi delle Corporate quotate sull’S&P

Disoccupazione (linea nera, scala sinistra) e numero mensile di posti di lavoro aggiunti (barre azzurre, scala destra), 2012 – marzo 2019.

Fonte: Labor Department.

Il saggio di sottoccupazione, che include gli impiegati part time che vorrebbero lavorare a tempo pieno, inoltre, si attesta stabilmente da tre mesi al 7.3%, minimo dal 2001, e il numero di posizioni lavorative aperte (superiore ai 7 milioni di unità) eccede quello (inferiore ai 6.5 milioni) di individui alla ricerca di impiego. Benché tali dati confermino la piena occupazione, la crescita annua dei salari medi orari – pari al 3.2% a marzo, in calo dal 3.4% di febbraio – non sembra destinata ad accelerare significativamente almeno nel futuro di breve termine. Tale dinamica degli emolumenti unitamente alla sinora scarsa capacità delle aziende di trasferire sui prezzi di beni e servizi l’incremento dei costi di produzione dei medesimi, inibisce le pressioni inflattive che si mantengono su livelli vicinissimi al target della Banca Centrale fissato intorno al 2%. A marzo l’indice dei prezzi al consumo è salito all’1.9% annuo dal precedente 1.5% sospinto dal recente rincaro del petrolio e la misura “core” al netto di cibo e prodotti energetici è lievemente scesa al 2% dal 2.1% di febbraio. La Fed, in seguito alla

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riunione del Comitato Esecutivo (FOMC) del 19/ 20 marzo, pertanto, ha lasciato inalterato il tasso di riferimento all’intervallo 2.25% – 2.50%, ma anche reso noto di non prevederne alcuna modifica in senso restrittivo nel corso di tutto il 2019. Si tratta di una netta inversione di tendenza rispetto a dicembre, quando i vertici di Constitution Avenue ipotizzavano due rialzi del costo del denaro nell’anno attualmente in corso. Il Governatore Jerome Powell, inoltre, ha annunciato che il programma di riduzione del bilancio della Banca Centrale – che consta oggi di 50 miliardi di dollari al mese – verrà gradualmente ridimensionato e terminerà a fine settembre, ovvero due anni dopo il proprio inizio. Anche in questo caso la decisione rappresenta un cambiamento evidente rispetto a fine 2018 quando il medesimo

Il Fondo Monetario Internazionale, nel proprio World Economic Outlook primaverile pubblicato il 9 aprile ha sensibilmente abbassato le stime circa l’andamento dell’attività economica nel Vecchio Continente, sia a livello aggregato sia locale.

Powell si era detto convinto tale processo di alleggerimento del portafoglio di titoli di Stato potesse proseguire, almeno nel medio periodo. Oltre che dall’andamento succitato del livello dei prezzi, tali dichiarazioni di intenti sono legate ai rischi – principalmente di natura esogena – potenzialmente in grado di rallentare la crescita economica degli Stati Uniti e dal brusco ridimensionamento dell’appetito per il rischio che ha caratterizzato i mercati finanziari nella parte finale del 2018. Sul fronte fiscale, infine, il FMI prevede attualmente che il rapporto deficit/ PIL degli USA si accresca per il secondo esercizio consecutivo nel 2019 raggiungendo il 4.6%, massimo dal 2012.

L’Istituzione basata a Washington, infatti, prevede ora che, dopo il +1.8% dell’anno scorso, nell’intero 2019 l’Area Euro cresca in misura pari all’1.3% solamente, valore inferiore all’1.6% preconizzato a gennaio e minimo dal 2013, prima di riaccelerare debolmente all’1.5% nel 2020. La revisione al ribasso interessa i Paesi periferici ma anche quelli “core”.

Variazione annua del PIL dell’Area Euro, 2010 – 2018 e previsioni, 2019 – 2020.

Fonte: Fondo Monetario Internazionale.

Variazione del PIL tedesco (nero), francese (viola), spagnolo (verde) e italiano (azzurro), 2014 – 2018 e stime 2019 – 2020. Fonte: Fondo Monetario Internazionale.

Germania e Francia sono accreditate di un’espansione pari allo 0.8% e all’1.3% nell’anno in corso: si tratta in ambedue i casi di numeri abbondantemente al di sotto dell’1.5% che ha caratterizzato Berlino e Parigi nel 2018 e dei +1.3% e +1.5% che costituivano rispettivamente le previsioni di inizio anno. La Spagna, pur permanendo il Paese con crescita più forte, dovrebbe rallentare per il quarto esercizio consecutivo nel 2019, anno in cui il PIL iberico si incrementerebbe del 2.1% in seguito al +2.5%

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del 2018. Ancora una volta largamente peggiori delle altre appaiono le prospettive del Nostro Paese per il quale si prevede una sostanziale stagnazione nel 2019 (+0.1%) dopo l’anemico +0.9% fatto segnare l’anno passato. Il FMI ha, inoltre, sottolineato come i rischi potenzialmente in grado di ridurre ulteriormente tale fosco scenario rimangano elevati e attengano al rallentamento globale, all’esito delle Elezioni Europee, alla vertenza Brexit e alla incerta situazione politica e fiscale dell’Italia. Durante il periodo gennaio/ marzo 2019 l’Eurozona è verosimilmente cresciuta in misura lievemente eccedente il deludente +0.2% dell’ultimo trimestre 2018, trainata dal concomitante, sebbene modesto, progresso di consumi, spesa pubblica e investimenti. probabilmente negativo è, invece, stato il contributo da parte del commercio estero. A gennaio, infatti, l’avanzo della bilancia commerciale è stato pari ad appena 1.5 miliardi di Euro, numero più esiguo da inizio 2017, in ragione di un incremento delle importazioni (+3.4% tendenziale) superiore a quello delle esportazioni benché queste ultime siano tornate ad aumentare dopo la flessione dello scorso dicembre. Il surplus commerciale, in tal senso, non eccede i 20 miliardi di Euro – valore medio del triennio 2015/ 2017 – ininterrottamente dallo scorso giugno, e le esportazioni tedesche non abbiano conseguito alcun incremento congiunturale nei primi due mesi del 2019. Il succitato, modesto, miglioramento di inizio 2019 rispetto a fine 2018 ha il proprio epicentro in Germania e Francia, dove – grazie alla tenuta di spesa pubblica e consumi – il PIL dovrebbe accrescersi dello 0.4% nel primo trimestre. Non si prevede, viceversa, che l’Italia – entrata in recessione tecnica nella seconda metà del 2018 – abbia fatto segnare alcuna espansione nemmeno tra gennaio e marzo. Gli ultimi dati macroeconomici disponibili tratteggiano un quadro in parziale risalita in seguito al consistente deterioramento occorso nella parte finale del 2018, ma gli indicatori di sentiment – in particolare quelli che rilevano le prospettive del comparto secondario – lasciano presagire che la fase di debolezza non sia da considerarsi almeno per il momento conclusa. La produzione industriale europea, infatti, è tornata ad aumentare dell’1.4% mensile a gennaio dopo le flessioni di novembre e dicembre; se la variazione annua della

medesima è tuttavia rimasta negativa nella misura dell’1.1% per il terzo mese consecutivo. Anche l’output del settore industriale tedesco è tornato a incrementarsi (+0.7% mensile) a febbraio, anche se l’industria manifatturiera ha registrato una flessione dello 0.2% gravata soprattutto dall’automotive.

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Variazione annua della produzione industriale dell’Area Euro, 2010 – gennaio 2019.

Fonte: Eurostat.

Le vendite al dettaglio sono, inoltre, progredite a febbraio dello 0.4% congiunturale e del 2.8% tendenziale – massimo da novembre 2017 – in Europa, dello 0.9% e 4.7% (rispettivamente da gennaio e da febbraio 2018) in Germania e dello 0.1% e 0.9% in Italia. L’indice relativo alla fiducia dei consumatori che condividono la Moneta Unica redatto dalla Commissione Europea, tuttavia, ha registrato un miglioramento appena percettibile salendo a -7.2 a marzo dal precedente -7.4 risultando ancora rallentato dal calo delle componenti inerenti alla propensione all’acquisto di beni di consumo durevoli e non.

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PMI Manifatturiero europeo (nero) e tedesco (blu chiaro), 2016 – marzo 2019.

Fonte: Thomson Reuters Datastream.

L’indice PMI manifatturiero europeo, inoltre, che seguita a peggiorare senza soluzione di continuità da quindici

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mesi a questa parte, è sceso a marzo a 47.5 – minimo da aprile 2013 – e l’omologo tedesco è crollato a 44.1 – numero più basso dall’estate 2012 – gravato dalla componente che cattura i nuovi ordinativi, precipitata a 39.3, livello mai fatto segnare dalla recessione 2008/ 2009. Gli ordini alle aziende germaniche, in tal senso, sono inaspettatamente diminuiti anche a febbraio nella misura del 4.2% mensile e del’8.4% tendenziale e il medesimo Ministero dell’Economia di Berlino ha espresso pessimismo riguardo al futuro di breve periodo. Il rallentamento si riflette sui conti delle aziende: gli analisti di Reuters stimano gli utili delle Corporate siano calati del 3.2% annuo tra gennaio e marzo, fatto mai accaduto nel biennio 2017/ 2018. Nonostante le condizioni di debolezza dell’economia, almeno per il momento il mercato dell’impiego si conserva complessivamente solido, pur essendo caratterizzato da un’ampia eterogeneità. A febbraio, quando sono avvenute 102.000 nuove assunzioni, la disoccupazione europea è rimasta inalterata al 7.8% della forza lavoro – minimo dall’autunno 2008. Il saggio disoccupazionale, tuttavia, è oggi inferiore al 5% in Germania, Austria, Olanda, mentre eccede ancora il 10% in Grecia (18%), Spagna (13.9%) e Italia (10.7%). Per quanto in via di risalita, tuttavia, gli incrementi annui dei salari medi sono stati pari al 2.3% negli ultimi tre mesi del 2018, valore ancora ampiamente inferiore al 3.2% che contraddistingue gli USA. Le pressioni inflattive rimangono pertanto decisamente contenute. A marzo,

infatti, l’indice dei prezzi al consumo è sceso all’1.4% annuo dal precedente 1.5% e la misura “core” al netto di energia e prodotti alimentari si è attestato allo 0.8% tendenziale, minimo da aprile 2018. La BCE, in conseguenza, a marzo ha spostato dall’autunno 2019 a inizio 2020 la data minima prevista per un primo rialzo del tasso di riferimento, oggi pari a zero, e di quello sui depositi bancari presso l’Eurotower, attualmente fissato a -0.40%, e annunciato una nuova serie di aste TLTRO (Targeted Long Term Refinancing Operations) volte a sostenere la concessione del credito bancario. In seguito alla riunione del Comitato Esecutivo del 10 aprile il Governatore Draghi ha ribadito le istanze espansive dell’Autorità Monetaria, che valuterà a breve l’opportunità di implementare misure volte a limitare l’effetto dei tassi negativi sui depositi sulla redditività degli istituti europei. Vanno, infine, intensificandosi i succitati rischi di natura politica. Il 26 maggio i cittadini dell’Unione voteranno per rinnovare il Parlamento comunitario che esprimerà la prossima Commissione, il processo di uscita della Gran Bretagna dall’UE non appare vicino al compimento e i saldi di finanza pubblica italiani sono in evidente deterioramento. Nel DEF di inizio aprile, infatti, il Governo di Roma ha drasticamente tagliato allo 0.2% le previsioni di crescita per il 2019, anno in cui pertanto il deficit/ PIL eccederà abbondantemente il 2% preventivato a fine 2018 e il debito supererà secondo il FMI il 133% del PIL.

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Dopo In seguito al +6.4% annuo – minimo da inizio anni ’90 – fatto segnare tra ottobre e dicembre 2018, la crescita del PIL cinese dovrebbe essersi ulteriormente, sebbene moderatamente, ridimensionata durante il primo trimestre dell’anno in corso attestandosi intorno al 6.2%/ 6.3% tendenziale. Il Fondo Monetario Internazionale, pertanto, sostanzialmente in linea con le altre principali istituzioni sovranazionali (OCSE, Asian Development Bank) e le maggiori banche di investimento globali, prevede attualmente che la seconda economia mondiale – dopo il +6.6% che ha caratterizzato l’anno scorso – si espanda del 6.2% sia nell’intero 2019 sia nel 2020.

Presidente Donald Trump e l’omologo cinese Xi Jinping la cui data al momento non è ancora stata fissata. L’accordo dovrebbe prevedere, oltre a un incremento delle importazioni cinesi dal Nord America, anche l’impegno da parte di Pechino a rivedere le proprie leggi in materia di proprietà intellettiva delle aziende che operino in territorio cinese, l’apertura a operatori stranieri di numerosi settori dell’economia locale, e la promessa di evitare la svalutazione pilotata dello Yuan sul mercato dei cambi. Il commercio estero, in tal senso, nel recente passato ha risentito dell’incertezza dei rapporti con gli Stati Uniti e dal raffreddamento della crescita economica globale, aggravate a inizio 2019 dalle consuete distorsioni statistiche legate al Capodanno Lunare che comporta l’interruzione di gran parte delle attività per una settimana.

Variazione annua del PIL cinese, 1990 – 2018 e stime 2019 – 2020.

Fonte: Fondo Monetario Internazionale.

Sulle prospettive della seconda economia mondiale influirà in misura rilevante l’esito delle trattative in corso tra Pechino e Washigton volte a dirimere la diatriba commerciale che oppone le due superpotenze da quasi un anno. Le parti – condotte per parte cinese dal vicepremier Liu He e dal plenipotenziario e dal Ministro delle Finanze nordamericani Robert Lightizer e Steven Mnuchin – impegnate nel confronto hanno a più riprese espresso ottimismo circa l’esito finale che dovrebbe giungere a compimento attraverso un incontro tra il

Saldo mensile della bilancia commerciale cinese in miliardi di dollari, 2013 – febbraio 2019.

Fonte: Thomson Reuters Datastream.

A febbraio, infatti, il surplus della bilancia commerciale è stato pari a 4.1 miliardi di dollari solamente – dato abbondantemente inferiore alle attese e minimo da dodici mesi – rispetto ai 39.7 miliardi di gennaio in virtù di un calo delle esportazioni (-20.7% annuo) quadruplo rispetto a quello delle importazioni (-5.2%). Particolarmente severe sono state nel mese le contrazioni delle vendite di prodotti cinesi in USA (- 28.6%) ed Europa (-13.2%). Anche al netto dell’effetto della succitata festività, tuttavia, l’andamento degli scambi con l’estero non appare brillante. Nel primo bimestre del 2019 le esportazioni e le importazioni sono diminuite del 4.7% e del 3.1% annuo, dati in netto peggioramento dai rispettivi +3.9% e +4.4% registratisi nel trimestre finale del 2018. Al fine di scongiurare un eccessivo ridimensionamento del ritmo di crescita del

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Paese, l’Esecutivo ha recentemente annunciato tagli all’imposizione fiscale per un ammontare di 2.000 miliardi di Yuan (circa 300 miliardi di Dollari). Verranno, in particolare, abbassate del 3% e dell’1% le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto sui prodotti delle aziende del settore manifatturiero (oggi 16%) e buona parte dei servizi e sul settore real estate (attualmente al 10%). Sono, inoltre, stati decisi nuovi investimenti in ambito infrastrutturale: la Cina spenderà 2600 miliardi di Yuan in nuove linee ferroviarie e stradali. Per velocizzare e finanziare almeno in parte il piano di investimenti, il limite di obbligazioni emettibili da parte delle Pubbliche Amministrazioni locali con finalità infrastrutturali nel 2019 è stato incrementato di 800 miliardi di Yuan rispetto al 2018. Il target in fatto di rapporto deficit/ PIL è stato conseguentemente innalzato al 2.8% per il 2019 dal 2.6% che ha contraddistinto l’anno scorso. Gli ultimi dati disponibili – che accorpano i valori di gennaio e febbraio per evitare l’aberrazione statistica determinata dalla diversa collocazione temporale del Capodanno Lunare nel 2018 e nel 2019 – evidenziano come nel recente passato la stabilizzazione della domanda abbia fatto da contraltare il perdurante rallentamento dell’offerta. Nei primi due mesi dell’anno, infatti, le vendite al dettaglio sono aumentate dell’8.2% rispetto al medesimo periodo dell’anno scorso – numero perfettamente identico a quello di dicembre e in linea con le attese – sospinte dagli acquisti di prodotti tecnologici, cibo e medicinali e gravate unicamente dalle vendite di automobili, contrattesi tuttavia del 2.8% annuo appena, valore decisamente migliore del -8.5% dello scorso dicembre.

Gli investimenti, inoltre, sono cresciuti del 6.1% tendenziale tra inizio anno e il 28 febbraio, in progresso rispetto al 5.9% dei dodici mesi terminati il 31 dicembre, corroborati dall’attività del settore pubblico (+5.5%) grazie all’accelerazione dei progetti di natura infrastrutturale e a dispetto della leggera frenata di quella delle aziende private (+7.5%). La produzione industriale, viceversa, è aumentata nel primo bimestre del 5.3% tendenziale, al di sotto delle previsioni e minimo dalla primavera del 2009, gravata in particolare dai pesanti cali dell’output di smartphone (-12.3% annuo) e di automobili (-4.1%).

Variazione annua delle vendite al dettaglio, azzurro, e variazione annua cumulata degli investimenti, blu scuro, in Cina, 2012 – febbraio 2019.

Fonte: Thomson Reuters Datastream.

Variazione annua della produzione industriale cinese, 2013 – febbraio 2019.

Fonte: Thomson Reuters Datastream.

Tale ridimensionamento dell’offerta, unitamente al marcato calo dell’inflazione alla produzione, attestatasi a febbraio allo 0.1% annuo, dato più esiguo da settembre 2016, si sta ripercuotendo negativamente sui profitti delle imprese industriali, diminuiti del 14% tendenziale – flessione più profonda da oltre dieci anni – nei primi due mesi del 2019, e sul mercato del lavoro. La disoccupazione, infatti, è aumentata al 5.3% della forza lavoro a febbraio – massimo da due anni – dal 4.9% di fine 2018. Gli indicatori di sentiment e la dinamica del credito lasciano presagire che le misure di stimolo poste in essere dalle Autorità inizino a sortire l’effetto desiderato. A marzo infatti gli indici PMI inerenti al settore manifatturiero e ai servizi sono balzati a 50.8 e 54.4 – massimi rispettivamente da otto e quattordici mesi a questa parte – rilanciati dalla componente relativa

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ai nuovi ordini. A febbraio, inoltre, sono stati concessi 885 miliardi di Yuan di nuovi prestiti bancari portando il totale cumulato dei primi due mesi dell’anno oltre quota 4.000 miliardi, valore abbondantemente superiore ai 1400 dello stesso lasso temporale del 2018. La politica monetaria – contrariamente a quella fiscale evidentemente espansiva – verrà mantenuta più prudente nonostante l’inflazione al consumo – pari all’1.5% annuo a febbraio, minimo da un anno – si mantenga al di sotto del target, fissato da Pechino intorno al 3%, da oltre cinque anni.

La Banca Centrale abbasserà verosimilmente ancora le riserve bancarie obbligatorie presso sé medesima e il Premier Li Kequiang non ha escluso l’eventualità di tagliare in misura contenuta anche il tasso di riferimento (oggi al 4.35%) qualora necessario, ma l’Autorità Monetaria non intende alimentare eccessivamente il ricorso alla leva finanziaria per evitare un ulteriore incremento dell’indebitamento interno totale oggi superiore al 250% del PIL.

In seguito all’anemico +0.1% fatto segnare negli ultimi tre mesi del 2018, il PIL brasiliano dovrebbe aver registrato una discreta accelerazione a inizio 2019, crescendo in misura prossima allo 0.5% congiunturale nel periodo gennaio/ marzo. Il ritmo di sviluppo pare destinato a migliorare ulteriormente, sebbene meno di quanto previsto a inizio anno, nel corso dei successivi tre trimestri. L’OCSE e la medesima Banca Centrale locale, infatti, hanno recentemente abbassato la propria stima circa la variazione del PIL nell’intero 2019 portandola rispettivamente all’1.9% e al 2% dai precedenti +2.2% e +2.4%. Tale valore – vicino ai due punti percentuali – costituirebbe un progresso rispetto all’1.1% che ha caratterizzato il 2017 e il 2018, ma permane lontano dal potenziale del Paese prossimo al 4%.

Variazione annua del PIL brasiliano, 2011 – 2018 e stime FMI 2019 – 2020.

Fonte: Fondo Monetario Internazionale.

Dopo la severa recessione del biennio 2015 – 2016, in tal senso, l’output gap è ancora oggi ampio – eccedendo il 3% – e dovrebbe chiudersi, alla luce delle attuali previsioni, solo nella seconda metà del 2020. I consumi e gli investimenti sono attualmente inferiori al livello di fine 2014 in misura pari al 4% e al 25%. Nel primo trimestre la maggiore economia sudamericana è stata verosimilmente sospinta dai consumi e dagli investimenti, ma – a differenza di quanto accaduto a fine 2018 – frenata dal commercio estero. Tra gennaio e marzo, infatti, il surplus commerciale è stato complessivamente pari a 10.9 miliardi di dollari, numero inferiore ai 16.8 miliardi del quarto trimestre dell’anno scorso e ai 14 miliardi di inizio 2018. Il restringimento del surplus degli scambi di beni e servizi con l’estero si ripercuote inevitabilmente sulla bilancia dei pagamenti il cui disavanzo, cresciuto all’1.3% del PIL nel 2018 dallo 0.5% (minimo da quindici anni) del 2017 sembra

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destinato ad attestarsi intorno all’1.6% nell’anno in corso. Gli ultimi dati disponibili confermano come la ripresa prosegua ma ne evidenziano al contempo il carattere piuttosto debole e soprattutto altalenante. Le vendite al dettaglio sono aumentate a gennaio dello 0.4% congiunturale dopo il crollo inatteso (-2.1%) di dicembre, la variazione tendenziale delle medesime (+1.9% nel primo mese dell’anno) si conserva positiva ininterrottamente da sei mesi a questa parte e la fiducia dei consumatori, decisamente risalita dall’estate 2018 si attesta su valori massimi da fine 2012.

permanendo al di sotto del punto medio del range che rappresenta il target dell’Autorità Monetaria (2.5% – 6.5%). La Banca Centrale pertanto – in seguito al meeting del Comitato Esecutivo del 20 marzo, il primo presieduto dal nuovo Governatore Roberto Campos Neto – ha lasciato il tasso di riferimento al 6.50%, minimo storico, e non ha escluso la possibilità di abbassarlo ulteriormente nel medio termine qualora i dati riguardo a crescita e inflazione dovessero discostarsi dalle attuali aspettative. Il ciclo monetario espansivo avviato nel 2016 e consistito di un taglio complessivo del costo del denaro pari a 775 punti base si riverbera positivamente sul credito. I prestiti totali sono infatti tornati a crescere su base mensile (+0.3%) a febbraio dopo la battuta d’arresto di gennaio, aumentando del 5.5% annuo – massimo da inizio 2016. Sui mercati finanziari, infine, gli asset brasiliani, in seguito al poderoso rimbalzo delle prime settimane dell’anno, hanno registrato un deciso aumento della volatilità da ricondursi alle tensioni politiche interne. Il Presidente Bolsonaro e il Ministro delle Finanze Guedes hanno, infatti, reso pubblici i dettagli del piano di riforma del settore pensionistico che porterebbe a 65 e 62 anni rispettivamente l’età pensionabile per uomini e donne (oggi mediamente pari a poco più di 50 anni) e garantirebbe risparmi per oltre 300 miliardi di Dollari nel prossimo decennio. Ottenerne l’approvazione qualificata da parte delle due Camere necessaria a renderla legge, tuttavia, non è scontato e necessiterà di un lungo iter parlamentare, iniziato all’insegna dello scontro con le opposizioni. Dall’esito di tale imprescindibile misura dipenderanno in misura rilevante le prospettive del Paese, non solo per quanto attiene alle esangui casse dello Stato e alla direzione di azionario, obbligazionario e valuta locali, ma anche alla competitività e sostenibilità stessa della crescita.

Così come in Brasile, anche in India la politica cattura attualmente l’attenzione dei mercati. Dall’11 aprile al 19 maggio, infatti, si svolgeranno le Elezioni Generali volte al rinnovo del Parlamento e, conseguentemente, del Governo del Paese. Il voto, in considerazione dell’enorme numero di aventi diritto (900 milioni di individui) si svolgerà in sei diverse giornate e i risultati finali sono attesi non prima del 23 maggio. Il Partito Nazionalista Indù (Baratiya Janata Party) del Premier uscente

Variazione annua della produzione industriale (azzurro) e delle vendite al dettaglio (blu scuro), 2010 – gennaio 2019.

Fonte: Thomson Reuters Datastream.

La produzione industriale è cresciuta dello 0.7% mensile – dato migliore da giugno 2018, sospinta in particolare dall’output di beni legati agli investimenti balzato del 4.6% rispetto a gennaio – tornando a incrementarsi (+2%) su base annua dopo tre consecutivi mesi di flessione. L’indice PMI manifatturiero, inoltre, si è conservato a marzo in territorio espansivo per il nono mese consecutivo, pur scendendo a 52.8 dal 53.4 di febbraio in virtù del calo della componente inerente all’impiego. Proprio dal mercato del lavoro provengono le notizie meno confortanti: a febbraio la disoccupazione è aumentata per il terzo mese filato, raggiungendo il 12.4% della forza lavoro, massimo dallo scorso luglio, dal 12.2% di gennaio. Si tratta di un livello piuttosto lontano dal tasso (9% – 10%) considerato neutrale in termini inflazionistici per il Paese. Infatti, benché i salari totali in termini reali progrediscano attualmente a un ritmo pari al 2% fornendo supporto alla domanda, l’inflazione si mantiene molto contenuta. L’indice dei prezzi al consumo si è attestato a febbraio al 3.9% tendenziale – in leggerissimo aumento dal precedente 3.8% –

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Narendra Modi pare avere buone chances di ripetere il successo del 2014. A sfidarlo il principale partito d’opposizione, l’Indian National Congress, il cui candidato Premier è Rahul Gandhi, erede della dinastia omonima. In attesa del verdetto delle urne, nell’ultimo trimestre dell’anno fiscale terminato il 31 marzo scorso la terza economia asiatica dovrebbe essere cresciuta a un ritmo molto simile al deludente +6.6% del periodo ottobre/ dicembre 2018, minimo dalla primavera 2017. Nell’intero esercizio fiscale appena finito, pertanto, il PIL dell’India dovrebbe essere aumentato del 7%, numero più basso da cinque anni a questa parte.

momento su livelli certamente positivi ma non particolarmente brillanti. La produzione industriale, infatti, è aumentata a gennaio per il diciannovesimo mese filato, crescendo tuttavia dell’1.7% tendenziale solamente, meno delle attese e del 2.6% di dicembre, corroborata dall’output di beni di consumo e dal comparto edile/ infrastrutturale (+7.9% annuo) ma frenata dalla flessione della produzione di beni legati agli investimenti privati (-3.2%). A marzo, inoltre, il PMI manifatturiero e l’omologo che cattura la fiducia del terziario sono scesi a 52.6 e 52.0 rispettivamente, minimo in ambo i casi dallo scorso settembre. Come detto, tuttavia, l’India beneficerà nel prossimo futuro dell’atteggiamento accomodante della Banca Centrale, in grado di rilanciare il credito e conseguentemente consumi e soprattutto investimenti. A febbraio, infatti, l’indice dei prezzi al consumo, pur salito al 2.57% annuo dall’1.97% di gennaio, è rimasto al di sotto del target di Nuova Delhi, fissato al 4%, per il settimo mese consecutivo.

Variazione annua del PIL indiano (aprile 2007 – marzo 2018) e stime FMI aprile 2018 – marzo 2020.

Fonte: Fondo Monetario Internazionale.

OCSE e Fondo Monetario Internazionale, tuttavia, concordano nel prevederne una imminente riaccelerazione propiziata dall’espansione dalla politica fiscale e monetaria e dal progressivo effetto di alcune riforme da poco implementate tra le quali spiccano quella del sistema bancario e l’introduzione di una V.A.T. (Value Added Tax, imposta sul valore aggiunto di beni e servizi) unica. L’India in tal senso è accreditata di un progresso pari al 7.2% nell’anno fiscale appena iniziato e del 7.3% nel successivo – dati in ambedue i casi massimi tra quelli delle principali economie mondiali. In seguito al pesante allargamento occorso nella seconda metà del 2018 e protrattosi nel primo mese del 2019, in grado di gravare sulla performance economica, a febbraio il deficit della bilancia commerciale si è inaspettatamente ridotto a 9.6 miliardi di dollari – minimo da settembre 2017 – in virtù del quinto consecutivo aumento delle esportazioni (+2.4% annuo) e del concomitante calo delle importazioni (5.4%), prima flessione dopo oltre due anni. L’andamento dell’attività economica sul fronte interno così come gli indicatori di sentiment si mantengono almeno per il

Inflazione al consumo (azzurro), 2013 – gennaio 2019 e tasso di riferimento (nero) in India, 2013 – aprile 2019.

L’Autorità Monetaria, pertanto, guidata dallo scorso dicembre dal Governatore Shaktikanta Das succeduto al dimissionario Patel, ha nuovamente tagliato a inizio aprile di 25 punti base il costo del denaro abbassandolo al 6% allo scopo di stimolare l’economia. Il precedente ribasso del tasso (implementato a febbraio) in tal senso, non ha sinora prodotto l’effetto auspicato in termini di costo dell’indebitamento. Quasi tutte le principali banche del Paese – la maggior parte delle quali è controllata dallo Stato – infatti hanno ridotto di 5/ 10 punti base appena – quando non addirittura lasciato inalterato – il tasso medio sui prestiti erogati in virtù dell’elevato interesse che pagano sui depositi dei privati.

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GLOSSARIO

AQR (Asset Quality Review): stress test che la BCE conduce su 124 banche europee nel corso del 2014 ASW (Asset Swap Spread): indica lo spread del rendimento rispetto all’IRS espresso in punti base.

Base monetaria: moneta emessa dalla banca centrale.

Bilancia commerciale: differenza fra le esportazioni e le importazioni di beni e servizi.

Bilancia dei pagamenti: insieme dei conti che sintetizzano le transazioni di un paese con il resto del mondo. Le principali sezioni in cui è articolata sono: conto corrente, conto capitale, conto finanziario ed errori ed omissioni. Baltic Dry Index: indice che misura l’andamento dei noli marittimi per il minerale di ferro e di altre merci secche alla rinfusa sulle 26 rotte mondiali più battute.

Capitale Tier 1 (capitale di livello 1): rappresenta la misura base della solidità patrimoniale di una banca, data dal capitale proprio e dalle riserve libere. Il Tier 1 Capital Ratio è dato dal rapporto fra il patrimonio di base di una banca e il totale delle sue attività ponderate in base al rischio.

Chicago Business Barometer: indice PMI che riporta le opinioni sull’andamento dell’economia locale dei direttori degli acquisti di 200 aziende manifatturiere dell’area di Chicago. Viene pubblicato qualche giorno prima dell’indice nazionale elaborato dall’ISM – Insititute for Supply Management e pertanto il suo valore aggiunto maggiore è quello di favorire la previsione sull’andamento di quest’ultimo.

Credit Default Swap: contratto in base al quale una parte compra protezione contro il default o si assicura al verificarsi di uno specifico evento creditizio.

Current Employment Statistics (payroll o establishment survey): indagine campionaria basata su 140.000 fra aziende e enti governativi che fornisce mensilmente la variazione nel numero dei salariati negli Stati Uniti. E’ pubblicata dal Bureau of Labor Statistics.

Current Population Survey (household survey): indagine campionaria condotta su 60.000 famiglie e 120.000 individui che fornisce mensilmente il dato relativo al tasso di disoccupazione negli Stati Uniti. E’ condotta dal Bureau of Census per conto del Bureau of Labor Statistics.

Debito pubblico: il debito dello Stato nei confronti di altri soggetti (individui, imprese, banche e soggetti stranieri) che hanno sottoscritto titoli di credito (quali ad esempio BOT o CCT) destinati a coprire il fabbisogno finanziario statale causato dal deficit pubblico. La spesa per gli interessi corrisposti ai detentori dei titoli di credito viene definita servizio del debito.

Deficit o disavanzo pubblico: ammontare della spesa pubblica non coperta dalle entrate, ossia quella situazione in cui – in un dato periodo – le uscite dello Stato (rappresentate dagli acquisti pubblici e dai trasferimenti alle amministrazioni locali, alle imprese e ai singoli) superano le entrate (rappresentate dalle imposte dirette e indirette).

Deficit o disavanzo primario: differenza fra uscite e entrate dello Stato al netto della spesa per interessi sul debito pubblico.

Deflatore del PIL: rapporto tra il Pil nominale e il Pil reale. E’ una misura del livello generale dei prezzi. Dà il prezzo medio dei beni finali prodotti in un’economia.

Deflazione: fenomeno, inverso all’inflazione, caratterizzato da una riduzione duratura e generale del livello dei prezzi.

Empire State Manufacturing Survey: rapporto mensile della Federal Reserve Bank of New York su in’indagine campionaria svolta fra i dirigenti di aziende manifatturiere dello stato di New York.

Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC): l’ente che garantisce i depositi detenuti dai risparmiatori presso gli istituti finanziari degli Stati Uniti.

Federal Open Market Committee (FOMC): comitato della Federal Reserve composto dai sette membri del Consiglio della Fed, più cinque presidenti delle banche regionali. È l’organo che prende le decisioni in materia di tassi di interesse negli Stati Uniti.

Fiducia dei consumatori: indici costruiti sulla base di indagini svolte su un campione rappresentativo di famiglie. Flussi netti di capitale: flussi di capitale ricevuti da un paese da parte del resto del mondo al netto dei flussi di capitale effettuati dallo stesso paese.

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FMI – Fondo Monetario Internazionale: organizzazione internazionale nata nel maggio 1946 e che oggi conta 185 Paesi membri. Fra i suoi scopi vi sono quelli di: promuovere la cooperazione monetaria internazionale; facilitare l’espansione del commercio internazionale; promuovere la stabilità e l’ordine dei rapporti di cambio; dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili, con adeguate garanzie, le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti.

Ifo Business Climate: indagine mensile basata su 7.000 risposte circa di aziende tedesche appartenenti ai settori industriale e del commercio estero, manifatturiero, delle costruzioni, delle vendite all’ingrosso e al dettaglio. Indice dei prezzi al consumo (Consumer Price Index): costo di un dato paniere di beni e servizi consumato da un consumatore urbano medio.

Indice dei prezzi alla produzione (Producer Price Index): indice dei prezzi prodotti all’interno di un paese nei settori manifatturiero, minerario, agricolo, ittico, forestale ed elettrico.

Indici CDX North America e Itraxx: riflettono la performance di un paniere di asset sottostante (variato ogni sei mesi) composto da CDS su singoli crediti, rispettivamente negli Stati Uniti e in Europa. In pratica rappresentano il costo della protezione dal rischio di insolvenza.

Inflazione primaria (Headline inflatiion): la misura più estesa dell’inflazione, così come riportata dall’indice dei prezzi al consumo.

Inflazione sottostante (Core inflation): una misura più restrittiva dell’inflazione che esclude i generi alimentari e i prodotti energetici, le cui variazioni dei prezzi sono soggette a maggiore volatilità.

Investimenti fissi: le acquisizioni di capitale fisso effettuate dai produttori residenti in un determinato Paese. Il capitale fisso è costituito dai beni materiali e immateriali prodotti destinati a essere utilizzati nei processi produttivi per un periodo superiore ad un anno.

IRS (Interest Rate Swap): è il contratto swap più diffuso, con il quale due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, per un periodo di tempo predefinito al momento della stipula, pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti e predefiniti, applicati ad un capitale nozionale. Non c’è scambio di capitali, ma solo di flussi corrispondenti al differenziale fra i due interessi (di solito uno fisso ed uno variabile).

M0 (base monetaria): comprende la moneta legale, ossia le banconote e le monete metalliche che per legge devono essere accettate in pagamento, e le attività finanziarie convertibili in moneta legale rapidamente e senza costi, costituite da passività della banca centrale verso le banche (e, in certi paesi, anche verso altri soggetti). M1 (liquidità primaria): comprende M0 più tutte le altre attività finanziarie che come la moneta possono fungere da mezzo di pagamento (essenzialmente i depositi in conto corrente, se trasferibili a vista mediante assegno, e i traveler’s cheque).

M2 (liquidità secondaria): comprende M1 più tutte le altre attività finanziarie che, come la moneta, hanno elevata liquidità e valore certo in qualsiasi momento futuro (essenzialmente i depositi bancari e d’altro tipo non trasferibili a vista mediante assegno).

M3: comprende M2 più tutte le altre attività finanziarie che, come la moneta, possono fungere da riserva di valore (ad esempio i pronti contro termine, i titoli a reddito fisso con scadenza a breve termine, come i BOT italiani, le quote di fondi di investimento monetario).

OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo: organizzazione sovranazionale che persegue obiettivi di integrazione e cooperazione economica e finanziaria tra 30 fra i maggiori paesi industrializzati del mondo.

Operazione di mercato aperto: acquisto o vendita di titoli di Stato da parte della Banca Centrale allo scopo di aumentare o ridurre l’offerta di moneta.

OIS – Overnight Index Swap: contratto tra due controparti in cui ciascuna si impegna a corrispondere all’altra, per un periodo di tempo predefinito, l’eventuale differenza fra il tasso ufficiale e il tasso overnight su un capitale ‘nozionale’ (che non è oggetto di scambio). Lo spread fra Euribor/Libor e OIS rappresenta una misura del premio al rischio richiesto sul mercato interbancario rispetto al tasso ufficiale di sconto.

Philadelphia Fed Business Outlook Survey: indice regionale del settore manifatturiero che copre Pennsylvania, New Jersey e Delaware.

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PMI (Purchasing Managers’ Index): rapporti di ricerca basati su indagini svolte fra i dirigenti degli acquisti delle aziende di un particolare settore (in genere manifatturiero e dei servizi). Negli Stati Uniti è pubblicato dall’ISM – Institute for Supply Management.

Prodotto interno lordo (PIL): misura della produzione aggregata nei conti di contabilità nazionale. E’ il valore totale dei beni e servizi finali prodotti da un paese in un determinato periodo di tempo con i fattori produttivi di proprietà dei residenti, siano essi investiti all’interno o all’esterno del Paese.

Recessione: contrazione del PIL per almeno due trimestri consecutivi.

Riserva obbligatoria: ammontare minimo di riserve che le banche devono tenere in proporzione all’ammontare dei depositi.

Riserve Bancarie: moneta della banca centrale detenuta dalle banche. Differenza tra quanto le banche ricevono dai correntisti e quanto prestano alle imprese o detengono sotto forma di titoli.

Stagflazione: combinazione di stagnazione e inflazione.

Tasso di inflazione: tasso al quale il livello generale dei prezzi cresce nel tempo.

Tasso di sconto: è il tasso di interesse al quale la banca centrale concede prestiti alle banche.

US Dollar Index: indice che rappresentata la variazione della quotazione della Dollaro USA rispetto ad altre sei valute (Euro, Sterlina, Yen, Dollaro Canadese, Franco Svizzero e Corona Svedese).

Vendite di case esistenti: una misura delle vendite delle case già di proprietà. Queste vendite rappresentano una quota largamente maggioritaria (attualmente prossima al 90%) di tutte le transazioni portate a termine nell’arco di tempo preso in considerazione.

Vendite di case in corso (compromessi): misura l’attività contrattuale nel settore dell’edilizia residenziale e si basa sui contratti firmati relativi alla vendita di case mono familiari e di appartamenti. Un contratto firmato non viene considerato una vendita effettiva fino al momento del deposito dell’atto.

Vendite di case nuove: una misura delle vendite di case sul mercato primario.

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